Un recente studio sostiene che i test per il dosaggio dell'antigene prostatico specifico (PSA) ha di fatto contribuito a scoprire un numero di casi di tumore alla prostata molto elevato, con il conseguente aumento degli interventi chirurgici e di radioterapia.
Sottoponendosi quindi ad interventi terapeutici essi in realtà si sottoporrebbero ad i rischi degli effetti collaterali delle suddette terapie inutilmente.
Se il tasso di mortalità del tumore alla prostata è in diminuzione, sostengono ancora i ricercatori, ciò è dovuto non certo all’aumento dello screening sulla popolazione quanto per il fatto che sono migliorate le cure.
Il test del PSA infatti non è così efficace nell’individuare tra i tumori alla prostata quelli che potrebbero avere un rapido sviluppo, e quindi costituire un serio pericolo, da quelli che, seppur presenti, non provocherebbero problemi di sorta.
E’ un argomento spinoso, cui ribatte uno studio europeo uscito di recente che, invece, afferma che per salvare la vita di un uomo, sono necessarie almeno 50 diagnosi superflue.
Dello stesso avviso anche il direttore del centro statunitense specializzato Duke University Prostate Center, che ribadisce come ancora oggi il tumore alla prostata, negli Stati Uniti, provoca la morte di 30.000 persone, e che quindi, anche se è vero che talvolta si può parlare di sovraesposizione ai test, in realtà questi costituiscono al momento una forma di diagnosi efficace, pur nella sua imperfezione, e restano quindi indispensabili per ridurre ulteriormente il numero dei decessi.
Fonte HealthDay