Una recente ricerca punta il dito sul fatto che in questi tempi di recessione, e di crisi economica, il numero degli aborti aumenta, soprattutto sulla fascia di popolazione più povera.
L’aborto continua dunque ad essere un segnale di determinate condizioni socioeconomiche, in cui concorrono aspetti differenti come l’etnia, le condizioni di salute, l’educazione, la religione e, soprattutto, i problemi economici.
E così la recente ricerca punta il dito sul fatto che in questi tempi di recessione, e di crisi economica, il numero degli aborti aumenta, soprattutto sulla fascia di popolazione più povera.
Negli Stati Uniti, dove il numero di donne povere è aumentato del 25% tra il 2000 ed il 2008, la proporzione di pazienti che si sono sottoposte all’intervento di interruzione di gravidanza è salito dal 27% del 2000 al 42% del 2008.
Negli stessi giorni in cui usciva la relazione, in concomitanza con il cinquantenario della nascita della pillola anticoncezionale, il Los Angeles Times ha poi rivelato che, sempre nella nazione americana, il 49% delle gravidanze sono indesiderate, ed il 22% di queste si concludono con un aborto.
Se da un lato è evidente il ruolo che gioca la povertà in questi dati, alquanto preoccupanti, è anche vero che le politiche in materia di sessualità da parte delle autorità statunitensi sono state, negli scorsi anni, molto restrittive sulla diffusione di comportamenti salutari e di prevenzione efficaci come l’uso dei preservativi e degli anticoncezionali in generale.
Altri numeri interessanti, che possono offrire un quadro significativo della situazione sono che il 58% degli aborti sono stati tra le donne nel ventesimo anno di età, che l’85% di questi avvengono tra donne non sposate, che il 61% delle donne che ha abortito aveva già un figlio, e che il 33% di queste non aveva l’assicurazione sanitaria.
Un dato quest’ultimo, specifico della nazione americana, dove, come si sa, non esiste la sanità pubblica, almeno fino alla recente riforma voluta dal presidente Obama.
Fonte LosAngelesTimes