In un gene il responsabile della predisposizione alla cirrosi biliare primitiva.
Attualmente, i trattamenti medici contro la cirrosi biliare primitiva possono solo rallentare la progressione del male, ed anche il trapianto del fegato, una delle possibili terapie, secondo le ricerche non evita che, in molti casi, la malattia possa ripresentarsi dopo 5-10 anni.
Lo studio, condotto presso l’Università di Toronto, è stato effettuato confrontando campioni di sangue di pazienti con cirrosi biliare primitiva e campioni di sangue di un gruppo di persone che non ne erano colpiti con la funzione di gruppo di controllo.
La base di partenza è stata la constatazione che il codice genetico giocasse un ruolo fondamentale, e questo perchè studi precedenti avevano già riscontrato come la tendenza a sviluppare la malattia fosse sensibilmente maggiore in figlie e sorelle della stessa famiglia.
Lo studio per identificare i marcatori genetici associati alla malattia si è svolto in tre fasi: nella prima i ricercatori hanno analizzato l’associazione genomica, confrontando i genotipi di 536 pazienti con cirrosi biliare primitiva con quelli di 1.536 persone che non hanno avuto la malattia.
Le differenze riscontrate nella variazione del codice genetico sono state via via focalizzate nel corso delle due fasi successive per individuare, tra le differenze nel codice genetico quelle che potevano essere chiamate in causa nella cirrosi biliare: i ricercatori hanno scoperto che le varianti di due geni, interleuchina 12A e interleuchina 12RB2, sono stati fortemente associati a questa.
Questi due geni fanno parte del sistema immunitario, e dunque l’ipotesi più probabile sulle cause scatenanti del male potrebbe proprio essere un malfunzionamento di questo.
Il passaggio successivo, una volta individuate le varianti genetiche responsabili, sarà quello di agire su di esse per rendere efficaci le cure.