Alcune proteine sembrano predire con sufficiente precisione il rischio di insorgenza del morbo di Alzheimer e demenza senile.
Sono i risultati di uno studio di recente pubblicato sulla rivista Archives of Neurology, che non fanno che confermare recenti raccomandazioni sul fatto di utilizzare questi biomarcatori come parte integrante della diagnosi clinica nelle persone che si sospetta possano essere colpite dall’Alzheimer.
Un editoriale di accompagnamento alla ricerca si sofferma sul fatto che è molto importante valutare nel liquido cerebrospinale la presenza di questo trio di proteine, A1-42, T-tau e P-tau, soprattutto in quei casi in cui avere una diagnosi valida e definitiva risulta particolarmente importante per il paziente che deve intraprendere cambiamenti significativi nel proprio stile di vita, di lavoro e di attività quotidiane.
E’ già da qualche anno che gli scienziati stanno lavorando per individuare quegli indizi fisiologici che possano predire l’insorgere del morbo di Alzheimer. Medicine per curarlo ancora non ci sono, e quindi predire l’insorgere del male è uno dei fattori più importanti per ritardarne o contrastarne l’insorgenza.
I ricercatori hanno misurato i livelli di queste tre proteine – proteina tau totale, tau fosforilata e proteina amiloide nel liquido cerebro-spinale in 102 persone affette da morbo di Alzheimer, in 200 persone con un lieve decadimento cognitivo ed in 114 individui sani.
Quella che si può considerare come la “firma” della malattia di Alzheimer era presente nel 90 per cento dei pazienti con il morbo conclamato, nel 72 per cento di quelli con decadimento cognitivo lieve e nel 36 per cento di coloro che non presentavano menomazioni cognitive.
Il fatto che la “firma” è stata trovata anche nei soggetti senza segni evidenti di deterioramento cognitivo, secondo gli autori sottolinea la probabilità che la malattia di Alzheimer inizia molto prima di quando si fanno evidenti le manifestazioni sintomatiche.
Un altro gruppo di ricerca sempre sulla stessa rivista scientifica ha invece di recente verificato che la presenza di livelli elevati di proteina beta-amiloide sono un marcatore sicuro della progressione verso l’Alzheimer.
questa volta insieme a riferire la sua conclusione di stampa sul numero di dicembre dell ‘Archives of Neurology ha verificato che i livelli ematici della proteina beta-amiloide prevedere la progressione verso la malattia di Alzheimer – un altro passo verso l’identificazione di biomarcatori valido per la malattia.
Questi risultati sembrano confermare la cosiddetta teoria della “cascata amiloide” che ritiene che l’accumulo di questa proteina nel cervello sia una delle cause scatenanti del male.
La ricerca riprende studi già fatti in precedenza su questi tre indicatori di rischio, confermando che in ultima analisi i biomarcatori genetici possono avere un ruolo importante nella rosa delle condizioni che preannunciano l’Alzheimer.
E’ necessario tuttavia considerare, avvisano gli esperti, che la beta amiloide non è ancora del tutto valido come marcatore perchè non tutti coloro che presentano elevati livelli della proteina nel sangue presenteranno i segni del morbo di Alzheimer o della demenza senile.
Altri fattori devono essere presi infatti in considerazione prima di diagnosticare effettivamente l’insorgere del male.
Attualmente l’indicatore può invece avere un’immediata utilità se impiegato per valutare l’efficacia di determinati farmaci.