La prescrizione di antibiotici per malattie respiratorie dovrebbero essere standardizzate in Europa per evitare il rischio di virus farmaco-resistenti.
La resistenza agli antibiotici è un problema di notevole incidenza sulla salute nel mondo. In Europa il 39% dei batteri invasivi sono risultati, dal 2006, come resistenti alla penicillina e la causa di questa accresciuta resistenza è stata individuata proprio nella prescrizione di antibiotici inutili, in particolare per le malattie respiratorie.
Alcuni dati, peraltro ancora da confermare, sembrano indicare che la maggior parte delle prescrizioni di antibiotici non aiutano a rendere le cure né più veloci né più efficaci.
Per questo motivo un gruppo di ricercatori ha voluto analizzare le differenze tra un paese e l’altro in Europa per quanto riguarda la somministrazione di antibiotici ed il loro impatto sull’efficacia curativa.
Lo studio ha coinvolto 3.402 adulti affetti da tosse o altre malattie respiratorie.
I pazienti sono stati reclutati da 14 reti di ricerca in 13 paesi europei (Galles, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna, Germania, Ungheria, Belgio, Polonia, Italia, Svezia, Norvegia, Finlandia e Slovacchia).
Di ogni paziente sono state registrate l’anamnesi, le condizioni di salute, i sintomi e la loro gestione, compresa la prescrizione di antibiotici, e la temperatura corporea.
I medici hanno quindi valutato la gravità dei loro sintomi utilizzando una scala a punteggi riconosciuta e testata. I pazienti stessi hanno tenuto per 28 giorni un diario nel quale registravano giorno per giorno la gravità dei sintomi. Nella media gli antibiotici sono stati prescritti per il 53% dei pazienti, ma la prescrizione è risultata variare da punte del 90% ad appena il 20%.
Ad esempio, ai pazienti in Slovacchia, Italia, Ungheria, Polonia e Galles sono stati prescritti antibiotici nel doppio dei casi rispetto alla media complessiva, mentre ai pazienti in Norvegia, Belgio e Svezia quattro volte meno.
E tali valori non hanno mostrato decise differenze neanche valutando altri parametri come la durata della malattia, il fumo, l’età, la temperatura corporea o la presenza di altri disturbi.
Inoltre, queste variazioni nella percentuale di prescrizione di antibiotici non sono risultate associate nemmeno a differenze clinicamente importanti per quanto riguardava il processo di guarigione dei pazienti.
Sono state rilevate differenze sostanziali anche nella scelta dell’antibiotico prescritto: se mediamente, a livello globale l’amoxicillina è risultato il più prescritto, in Norvegia è stato utilizzato nel 3% dei casi, mentre in Inghilterra ha toccato l’83% delle prescrizioni.
Così grandi differenze nella prescrizione di antibiotici tra i diversi paesi non sono giustificate, concludono i ricercatori, da alcun motivo clinico, ed aggiungono che, con l’avvento della pandemia dell’influenza suina, l’aumento ed il disordine nella prescrizione dei farmaci antibiotici potrebbe avere un’importanza notevole nello sviluppo di ceppi di virus resistenti ai farmaci.