Le popolazioni indigene nel mondo sono drammaticamente a rischio per quanto riguarda la nuova pandemia di influenza suina.
E’ quanto emerge da un articolo pubblicato sulla rivista Lancet, che evidenzia il fatto che i 400 milioni di individui nel mondo considerati come facenti parte di popolazioni indigene saranno particolarmente sensibili e vulnerabili all’epidemia.
Già in Australia è stato registrato un morto, un nativo aborigeno, e diversi indiani nativi che vivono in Canada sono stati vittime dell’influenza.
Su tale allarme ci sarebbero diverse considerazioni da fare, la più importante delle quali riguarda il fatto che tali popolazioni generalmente hanno un alto livello di povertà, a cui si aggiunge in molti casi anche denutrizione e scarsa qualità della salute, condizioni queste che sono per la maggior parte provocate dal contatto nocivo che queste popolazioni hanno avuto con il mondo sviluppato.
La cosiddetta “occidentalizzazione” delle popolazioni indigene ha provocato grossi guasti in individui un tempo a basso rischio per quella serie di malattie che oggi sono tra le più diffuse nel mondo sviluppato, dalle malattie cardiovascolari al diabete, dall’abuso di alcool e tabacco a malattie sessualmente trasmissibili come l’AIDS.
Un cambiamento radicale della dieta, in cui è penetrato l’eccessivo apporto di grassi, calorie e sale, le persistenti sacche di povertà e di malnutrizione, associato con la diminuzione delle attività fisiche, dovuta al cambiamento radicale di costumi ed usanze, ed in più una colpevole disattenzione da parte delle istituzioni e degli organismi di salute pubblica hanno aumentato considerevolmente i fattori di rischio.
Per fare un esempio banale, in molte popolazioni indigene si muore ancora per malattie che nell’occidente sono tenute sotto controllo dai vaccini, come il morbillo, il tetano, la difterite o la parotite.
Anche nel 1918, quando scoppiò la pandemia di “spagnola” molte popolazioni indigene ne furono vittime, in taluni casi con una percentuale di mortalità notevolmente superiore a quelle, già enormi, delle popolazioni degli stati più sviluppati.
A questo proposito Margaret Chan, direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato: “Sono fermamente convinta che questa pandemia rivelerà esattamente, in modo tragico, visibile e misurabile, in termini di vita e di morte, cosa significa aver trascurato per decenni ed in molte parti del mondo le esigenze di salute ed i sistemi sanitari”.