La rabbia è ritenuta un sentimento negativo che obnubila la mente e aumenta la pressione arteriosa ma in realtà, se utilizzata nel modo giusto, diventa un motore per raggiungere gli obiettivi.
Secondo i ricercatori di un università olandese infatti, la rabbia attiverebbe alcune aree dell’emisfero sinistro del cervello che in genere sono associate alle emozioni positive.
Le persone diventano quindi motivate a fare qualcosa di concreto per raggiungere l’obiettivo che risulta essere gratificante per loro.
Così è stato condotto un esperimento, sono stati raggruppati alcuni volontari alla visione di alcuni oggetti comuni su un monitor, come ad esempio una penna o un piatto, prima però che comparisse l’oggetto in quesione, sul monitor compariva per un brevissimo lasso di tempo la foto di un viso con un’espressione neutrale, oppure arrabbiato o con esperssione di dolore e i volontari associavano inconsciamente all’oggetto che si palesava sullo schermo poco dopo.
Successivamente, ai volontari è stato chiesto di stringere una manopola nel momento in cui desideravano un oggetto, chi la stringeva più forte lo otteneva, accaparrandosi il premio. Il risultato è stato che coloro i quali vedevano immagini di volti rabbiosi tendevano a stringere molto di più.
Questo è il risultato di un processo evolutivo che spiega appunto che in tempi lontani ed in situazioni di scarsità di cibo, la rabbia, che sfociava in aggressività avrebbero permesso agli individui dell’epoca di aggiudicarsi il poco cibo disponibile col risultato di riuscire a sopravvivere.
Questo spiega che la rabbia ha permesso un percorso evolutivo che ci ha portato fino ai giorni nostri, altrimenti saremmo tutti morti di fame e la specie non si sarebbe evoluta.
E’ importante quindi non reprimere la rabbia, soprattutto sul posto di lavoro, perchè, oltre a provocare danni cardiaci è il posto in cui di solito si tende a raggungere i risultati ed è importante quindi, soprattutto in situazioni di mobbing, ad esempio, non nascondere il proprio rancore ma esprimerlo, per non somatizzarlo fino ad arrivare a sintomi peggiori come l’ansia o la depressione.