I pop corn fanno venire la bronchiolite obliterante

di Redazione

Per quanto strano e raro tutto questo possa sembrare può anche accadere che ci si possa ammalare, di una patologia seria, grave ed oltre modo rarissima, semplicemente consumando dei banalissimi pop corn.

I pop corn fanno venire la bronchiolite obliterante

Per quanto strano e raro tutto questo possa sembrare può anche accadere che ci si possa ammalare, di una patologia seria, grave ed oltre modo rarissima, semplicemente consumando dei banalissimi pop corn.

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La vicenda, che ha davvero dell’incredibile, riguarda Wayne Watson, cittadino statunitense oggi 59enne, che negli scorsi anni avrebbe purtroppo sviluppato una rara patologia infiammatoria polmonare, in particolar modo afferente la componente peribronchiale, mangiando i pop corn di una particolare marca venduti in un particolare punto vendita di una particolare catena di supermercati statunitensi.

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Il mais, consumato sotto forma di pop corn, da Wayne Watson, stando a quanto appurato da una Corte Federale dello Stato del Colorado, avrebbe infatti contenuto elevatissimi livelli di diacetile che, a lungo andare, avrebbe portato l’organismo dell’individuo allo sviluppo della bronchiolite obliterante – polmonite in organizzazione, in inglese BOOP, o polmonite organizzata criptogenetica, in inglese COP.

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Codesta malattia, sebbene raramente conduca alla morte del soggetto malato (la mortalità della BOOP – COP, equivalente solamente al 7% di tutti i casi noti, sarebbe stata sino ad oggi appurata solamente in soggetti già ampiamente debilitati a causa di altre patologie), si configurerebbe, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista anatomo-patologico, quale una vera e propria polmonite in organizzazione, cronica, capace di causare tosse, dispnea, sintomi influenzali, febbre ed ipossiemia a riposo.

Una patologia non certo semplice da affrontare, alla quale Wayne Watson sarebbe ormai costretto a sottostare per tutta la propria vita, e per la quale avrebbe fortunatamente ricevuto, a causa delle scarse informazioni contenute sulla confezione del prodotto, un maxi-risarcimento pari a quasi 7 milioni di dollari (5,5 milioni di euro).

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