Smettere di fumare e rischio diabete

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Secondo un recente studio statunitense, smettere di fumare aumenta notevolmente il rischio di sviluppare il diabete di tipo due. Secondo i ricercatori, tra chi smette di fumare il 70% è a rischio di sviluppare la malattia nei primi sei anni dall’ultima sigaretta.

Secondo i ricercatori il motivo principale di tale fenomeno è legato al fatto che tendenzialmente chi smette di fumare acquista peso.
Ciò non significa, mette in guardia lo studio, pubblicato su Annals of Internal Medicine che non si debba per questo motivo smettere di fumare e che i risultati teorici di questo studio non sono assolutamente da utilizzare come alibi.

Antidepressivi aumentano il rischio di ictus in menopausa

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Le donne in menopausa che assumono antidepressivi possono trovarsi di fronte ad un rischio moderatamente leggero di avere un ictus.

Sono i dati forniti da uno studio statunitense pubblicato su Archives of Internal Medicine e basato su un ampio studio prospettico, il Women Health Initiative Study, che ha coinvolto un campione di 136.293 donne di età compresa tra i 50 ed i 79 anni seguite per un periodo di sei anni.
Le donne che utilizzano gli antidepressivi, secondo i ricercatori, risultano avere un rischio di ictus maggiorato del 45%.

Essere turbolenti da adolescenti pregiudica le aspettative di vita

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Una storia turbolenta da giovani ed adolescenti aumenta il rischio di morte prematura o di avere problemi di salute una volta diventati adulti, già a partire dalla soglia dei 48 ani di età.
Sono i risultati a cui è giunto un recente studio di ricercatori britannici, che hanno seguito un campione di 411 ragazzi che nel 1961 avevano tra gli 8 ed i 9 anni.
Nel gruppo di coloro che a 10 anni manifestavano una serie di comportamenti anti-sociali, tra i quali la tendenza a non frequentare la scuola o avere rapporti conflittuali con i coetanei, e che all’età di 18 anni hanno avuto i primi problemi con la legge il 16,3%, ovvero circa un sesto, all’età di 48 anni risultavano essere deceduti o avere grossi problemi di salute ed un grado più alto di disabilità.

L’esercizio fisico dopo una sbornia non riduce gli effetti nocivi dell’alcool

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Per chi è grande bevitore di alcool, ed è avvezzo a prendersi grandi sbornie, poco può fare, per tentare di recuperare, il sottoporsi ad esercizi fisici ristoratori all’indomani di una bevuta colossale.
E’ quanto risulta da un sondaggio condotto nel Regno Unito dal Dipartimento per la Salute, che ha verificato come, in Inghilterra, una persona su cinque tra gli intervistati ammetteva che dopo aver esagerato con l’alcool si sottoponeva ad esercizi fisici per cercare di recuperare.
Ed in effetti tale pratica sembra essere molto diffusa, visto che sul campione di 2421 adulti intervistati risultava che nel 60% dei casi i forti bevitori avevano l’abitudine di recuperare sottoponendosi a sforzi fisici.

Bere alcool associato alla riduzione di alcune malattie cardiache

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Secondo una recente ricerca condotta in Spagna bere alcool ogni giorno riduce di più di un terzo il rischio di malattie cardiache negli uomini.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Hearth, ha coinvolto più di 15,500 uomini e 26,000 donne ed i risultati hanno verificato che tale effetto protettivo dell’alcool sembra avere più effetto negli uomini che nelle donne.
In Spagna, i tassi di consumo di alcool sono relativamente alti, mentre le malattie cardiache risultano essere nella media più basse che in altri paesi .

Poca vitamina D fattore di rischio per infarti ed ictus

salmone ricco di vitamina D

Bassi livelli di vitamina D nell’organismo sono stati associati, da un recente studio apparso sulla rivista American Journal of Epidemiology, ad un maggior rischio di malattie cardiache ed ictus.
La ricerca è stata compiuta da ricercatori finlandesi presso l’Istituto Nazionale per la Salute ed il Welfare di Helsinki che hanno raccolto e messo a confronto i livelli di vitamina D nel sangue e l’incidenza di morti per infarto o ictus su un campione assai cospicuo di pazienti (2817 uomini 33402 donne).

Proteina predice gli attacchi di cuore, ma non l’ictus

cuore

Alti livelli di proteina C-reattiva (CRP) nel sangue possono predire il rischio di attacchi cardiaci e decessi, ma non riescono a fare lo stesso per l’ictus.

E’ quanto hanno verificato in via sperimentale ricercatori della Columbia University Medical Center di New York City, che hanno pubblicato i risultati delle loro osservazioni sul numero corrente della rivista Neurology.
Lo studio ha coinvolto 2240 abitanti di New York, di età superiore ai 40 anni, che non avevano avuto in precedenza problemi di cuore.

All’inizio della ricerca ai pazienti sono stati controllati i livelli della proteina in questione nel sangue.

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