L’inquinamento colpisce duramente gli obesi

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L’inquinamento atmosferico sembra colpire più duramente le persone obese, determinando un aumento significativo della pressione sanguigna.
Lo affermano i ricercatori della School of Public Health and Health Sciences dell’Università del Massachusetts, recentemente autori di uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Epidemiology and Community Health. Se in passato l’inquinamento atmosferico era stato associato a disturbi come asma, diabete e malattie cardiache, la novità della ricerca è il tentativo di verificare quale impatto essa possa avere sulla forma fisica dell’individuo.

Con pochi soldi moltissime calorie

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Sebbene sia uno studio che prende in considerazione un ambiente diverso dal nostro, quello delle grandi metropoli americane, i risultati della ricerca condotta da studiosi del Center for Obesity Research and Education presso la Temple University statunitense potrebbe far riflettere anche molti genitori italiani.
Lo studio, pubblicato su Pediatrics, è stato condotto sugli studenti delle scuole primarie di Filadelfia, che venivano intervistati e monitorati nei loro acquisti al “corner shop”, prima e dopo l’uscita dalla scuola.
Il corner shop potrebbe essere equiparato, nelle città italiane, alla panetteria o alla latteria o al piccolo supermercato rionale.

Ansia e depressione associate al rischio di obesità

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Disturbi mentali relativamente comuni come ansia e depressione, possono contribuire ad aumentare i fattori di rischio per l’obesità. E’ quanto afferma un recente studio di ricercatori britannici dell’University College di Londra che ha condotto una ricerca recentemente pubblicata su BMJ.
I ricercatori hanno analizzato una grande mole di dati provenienti da quattro studi medici realizzati sui 4363 dipendenti pubblici inglesi i età compresa tra 35 e 55 anni, seguiti per un periodo di tempo di 19 anni, dal 1985 al 2004.

Obesità e sovrappeso in gravidanza fattori di rischio per difetti cardiaci nel bambino

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Le donne in sovrappeso o obese che hanno una gravidanza, sono risultate, secondo un recente studio comparso sulla rivista Obstetrics and Gynecology, più a rischio di partorire un bambino con difetti cardiaci.
Lo studio, condotto direttamente da un organismo governativo statunitense, lo U.S. Centers for Disease Control and Prevention, ha anche fornito le percentuali di rischio: il 18% in più nel caso delle donne in sovrappeso, ed il 30% in più nelle donne obese sono a rischio di avere un bambino con difetti al cuore.
I ricercatori dell’organizzazione governativa hanno esaminato lo stato di salute di 6,440 bambini con difetti cardiaci congeniti e di 5,673 neonati senza problemi, associando all’esame di questi un’intervista alle madri.

Le persone in sovrappeso non percepiscono la propria obesità

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Un recente sondaggio condotto nel Regno Unito, condotto da un’importante agenzia britannica di sondaggi online, YouGov, per conto dell’organizzazione SlimmingWorld, ha rivelato un aspetto importante, e finora non approfondito, della diffusione dell’obesità: il fatto che in una percentuale molto elevata di casi chi è obeso non si sente tale.
Intervistando un campione di 2000 persone, il sondaggio ha scoperto che più di un quarto di esse erano da considerare nella categoria degli obesi, ma che solo il 7% di questi sembrava ammettere di sentirsi sovrappeso.

Scarsa autostima da bambini come fattore di rischio per l’obesità

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Una scarsa autostima da bambini può essere un fattore di rischio dell’obesità una volta raggiunta l’età adulta.
Questi i dati di un studio condotto su 6500 partecipanti, realizzato in un intervallo di tempo di 20 anni, e condotto da ricercatori del King’s College di Londra.
La ricerca è stata pubblicata su BMC Medicine e tra i risultati di questa una serie di dati interessanti.

Mangiare di notte fa aumentare con più facilità di peso

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Mangiare tardi la notte aumenta il rischio di accumulare peso.
E’ questo il risultato di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Obesity, e realizzato da un’equipe di ricercatori della Northwestern University in Illinois (USA).
L’esperimento è stato condotto su due gruppi di topi da laboratorio, ed è durato per sei settimane durante le quali gli animali erano nutriti con una dieta ad alto contributo di grassi, in momenti differenti del “ciclo di veglia”, ovvero i momenti della giornata regolati dal nostro orologio biologico, il ritmo circadiano.